Lo sciopero della fame di New York

di Piero Verni


Mentre in Tibet si è accesa l’altro ieri l’ennesima torcia umana, si è infatti dato fuoco a Rongpo Jamyang Palden un monaco di 34 anni, il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki.moon si è detto preoccupato delle condizioni di salute dei tre tibetani che da 24 giorni digiunano a New York accampati in uno slargo di fronte all’ingresso principale del Palazzo di Vetro. Organizzato dal Tibetan Youth Congress, il più forte movimento non governativo della diaspora tibetana, questo “Indefinite Hunger Strike for Tibet” è portato avanti da Shingza Rinpoche, un lama tibetano di alto lignaggio e da due laici, Dorje Gyalpo e Yeshi Tenzin. I tre chiedono che l’ONU invii in Tibet una delegazione per appurare quanto sta succedendo in quella parte del mondo e faccia pressione sul governo di Pechino affinché cessi la brutale repressione nei confronti di quanti protestano pacificamente contro il dominio coloniale cinese.

Partito alquanto in sordina, questo sciopero della fame ad oltranza ha cominciato ad attirare l’attenzione dei media dopo che il 9 marzo il noto attore americano Richard Gere è venuto a rendere omaggio ai tre digiunatori. Da quel giorno si sono moltiplicate le visite di rappresentanti della carta stampata e delle televisioni internazionali. BBC, France Presse, Al Jazera e altre ancora hanno intervistato negli ultimi giorni gli scioperanti e il presidente del Tibetan Youth Congress, Tsewang Ringzin. Inoltre il presidio è divenuto meta di un ininterrotto pellegrinaggio dei tibetani che vivono a New York e di numerosi sostenitori della causa del Tibet. 

Con ogni probabilità questa rilevanza mediatica è alla base della dichiarazione di Ban Ki.moon che aveva comunque inviato nei giorni scorsi un funzionario di primo piano della Commissione per i Diritti Umani, Ivan Simonovic, a prendere visione delle condizioni di salute dei digiunatori e a parlare con Tsewang Ringzin. Evidentemente ai piani alti del Palazzo di Vetro ci si comincia a preoccupare di quanto potrebbe accadere lì fuori, proprio sull’uscio di casa. Se il prolungarsi del digiuno dovesse avere conclusioni drammatiche, l’idea di ritrovarsi sotto i riflettori accesi dei media con la responsabilità di uno o più Bobby Sands tibetani a pochi metri dai loro sontuosi uffici inquieta non poco la dirigenza delle Nazioni Unite. E che all’interno dell’ONU ci siano numerosi mal di pancia per la situazione in Tibet è apparso evidente due giorni fa quando i rappresentanti di diverse Nazioni europee presenti alla 19esima sessione della Commissione sui Diritti Umani attualmente in corso a Ginevra, hanno sollevato il problema della repressione nel Paese delle Nevi. L’Unione Europea, che si è detta “allarmata” per le notizie che parlano di “violente repressioni delle proteste e di numerosi morti e feriti”, ha chiesto a Pechino di astenersi dall’usare la forza contro forme pacifiche di contestazione e rilasciare tutti coloro detenuti per aver liberamente e pacificamente esercitato il loro diritto di critica e di parola. La delegazione tedesca ha appoggiato la posizione della UE mentre i francesi hanno espresso “grave preoccupazione” per la serie di autoimmolazioni avvenute in Tibet. I rappresentanti del Regno Unito hanno affermato che la Cina dovrebbe salvaguardare i diritti civili, politici e culturali dei suoi cittadini e anche loro si sono detti “fortemente preoccupati” per la “violenta repressione” delle proteste in Tibet. La Repubblica Ceca ha reiterato la richiesta di un accesso non condizionato alle aree tibetane di una delegazione internazionale per verificare come stiano esattamente le cose. Infine gli USA hanno domandato a Pechino di abbandonare politiche che “ledono le tradizioni linguistiche, religiose e culturali di tibetani ed uiguri”; aggiungendo anche che queste politiche repressive in Tibet sono causa di profonda insoddisfazione e alimentano le proteste.

Viste dal presidio di New York queste prese di posizione e le dichiarazioni di Ban Ki.moon sono sicuramente buone notizie ma non bastano ancora. Infatti il presidente del Tibetan Youth Congress, pur esprimendo soddisfazione per quanto avvenuto, ha detto chiaramente che “Non è sufficiente”, insistendo sul fatto che i digiunatori si aspettano dall’ONU un effettivo aiuto per il popolo tibetano.

A questo punto la situazione rischia di divenire complicata e il tempo stringe dal momento che il digiuno è giunto al 24° giorno. Inoltre, secondo alcune indiscrezioni che ho raccolto, Pechino comincerebbe ad essere piuttosto irritata. Non ha per nulla gradito le critiche di Ginevra ed è stufa di vedere sventolare bandiere tibetane e striscioni che chiedono l’indipendenza del Tibet davanti ai propri uffici del Palazzo di Vetro. Una matassa difficile da sbrogliare anche per uno che di compromessi ed equilibrismi politici se ne intende come Ban Ki-moon. 

Piero Verni   16 marzo 2012